Green Day - Warning

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Sabagod
00martedì 23 dicembre 2003 01:47
A distanza di tre anni dall’uscita di Nimrod (e quindi nel 2000) i Green Day propongono il loro sesto album di studio, che viene intitolato Warning. Si tratta in questo caso di una svolta radicale, visto che i ritmi pop che caratterizzavano gran parte del precedente loro lavoro sono questa volta maggiormente presenti, al punto che molti si sono chiesti se il disco potesse essere qualificato o meno come punk.

C’è da dire che gran parte dei fan hanno storto il naso dopo questa uscita, effettivamente dopo altri tre anni di astinenza forzata, il popolo richiedeva al gruppo un maggiore mordente di quello che traspare nelle tracce proposte, ma si sa, i Green Day sono sempre andati per la propria strada, senza guardare in faccia a nessuno. E così per la prima volta la band vene immortalata direttamente in copertina e per la prima volta l’album prende il nome da una traccia (la prima). Troppi cambiamenti o siamo noi appassionati che esageriamo nelle valutazioni? Per avere una risposta esaustiva a questi quesiti non ci resta che inserire il CD nel lettore.

Si inizia con l’omonima Warning, traccia che ad un primo ascolto mi ha lasciato sconcertato: è un pezzo di puro soft rock, dove Billie Joe detta il principio “Live without warning”, in apparente contraddizione con la sobrietà ed il formalismo dell’intero lavoro. Devo dire che la canzone non mi è piaciuta granchè, anche se ho apprezzato molto la citazione ai Clash all’inizio. Warning è stato anche il secondo singolo, ed il suo video (bruttarello, a dire la verità) è stato più volte trasmesso da MTV, la quale mi ha fatto il solito lavaggio del cervello, per cui dopo un po’ di tempo mi sono ritrovato ad apprezzare la canzone. Inutile dire che questa scoperta per me è stata un dramma: cosa mi sarebbe successo se avessero passato più volte un video di The Grouch? O di una 86? E, soprattutto, vorrei essere libero di analizzare una canzone indipendentemente dalle pressioni esercitate da MTV. Insomma, utopie.

La seconda traccia è Blood Sex and Booze, che ricorda molto da vicino il sound di Hitchin’ a Ride di Nimrod. Forse la ricorda troppo, ma non certo per il testo, che parla di sadomaso…

Si prosegue con Church On Sunday, e fatemelo dire, qui i Green Day giocano in casa e non falliscono; è punkrock, è divertente sia per la melodia che per il testo (vengo in chiesa se esci con me venerdì sera, mica male come idea…) e dura abbastanza da lasciare soddisfatto l’ascoltatore. In sostanza con la traccia 3 il gruppo non può fallire.

E ancora, Fashion Victim, rock a metà strada tra i Clash e gli ultimi Social Distortion, dove Billie formula una chiara accusa a coloro che sono schiavi della moda, e, secondo alcune fonti, c’è un velato riferimento alla morte di Versace.

Castaway riprende il discorso interrotto con il punkrock, e ascoltandola più volte, mi chiedo se i Green Day non abbiano sbagliato a pubblicare un album ibrido tra il pop ed il rock con (poche) influenze di punk, dato che sono ancora eccellenti maestri di quest’ultimo.

Parlando sempre di primo ascolto, fino a qui l’album mi aveva deluso, lo dico senza mezzi termini. Non avevo riscontrato l’impatto devastante che mi aveva incollato davanti allo stereo nei tempi di Dookie, Insomniac e (soprattutto) Nimrod. Non che fossi pentito di aver speso i soldi, questo mai, ma l’amaro in bocca era tanto. E poi ho ascoltato Misery.

La traccia mi ha sconvolto. Sono veramente i Green Day? E’ veramente Billie Joe quello che canta? Quello di Basket Case? Incredibile. Il gruppo si destreggia con un’abilità insospettabile in un singalong di rara bellezza, con archi, fisarmonica e quant’altro. Non è punk, ma che canzone! Ed il testo non è da meno, scritto a sei mani, si compone di quattro diverse storie che testimoniamo come la miseria possa colpire chiunque. Forse una delle paure del gruppo che la miseria l’ha vista da vicino? A mio giudizio la migliore canzone dell’album.

A seguire, Deadbeat Holiday, gradevolissimo rock che fa il paio con la più convincente Hold On, a dimostrazione di un lavoro che prosegue in crescendo.

I ritmi si induriscono sia nella musica che nel testo con Jackass, suonatissima nei concerti grazie ad un ritornello coinvolgente.

Ma la parte migliore dell’album a mio avviso deve ancora venire, dapprima con la splendida Waiting, terzo singolo e terzo video dove il rock è sicuramente molto ma molto più affascinante di Warning e soprattutto il testo non è per niente banale. Bello l’assolo di chitarra a metà canzone. Il Wake up è per Billie Joe?

Eccoci arrivati a Minority, primo singolo e video dell’album. E difficile dire se la canzone sia punk (ma io non penso proprio, anche perché anche in questo caso c’è la fisarmonica), ma c’è da dire che come pezzo è semplicemente devastante. Anche in questo momento che la sto riascoltando per l’ennesima volta, non posso fare a meno di inserire il tasto “repeat”. Sicuramente una delle migliori canzoni scritte dalla band. Carino il video, però forse un poco banale.

L’ultima traccia, la dodicesima, chiude alla grande il lavoro, perché possiamo definirla la Time of Your Life di Warning. Macy’s Day Parade è spettacolare, non tanto per la musica (non fraintendete, è magnifica anche quella), ma per il testo visionario e apparentemente senza un filo logico. Billie Joe si interroga sul senso del passato, sulle aspettative del futuro e ci sembra giusto che queste considerazioni vengano fatte alla fine di un album di svolta. Anche di questo pezzo ne è stato tratto un video che a io giudizio rappresenta nel modo più giusto quello che la band voleva dire nella canzone, ma diciamo grazie ad MTV che l’ha bocciato, almeno qui in Italia.

Il primo ascolto dell’album, quello che mi aveva sostanzialmente deluso, si è trasformato negli innumerevoli che gli sono susseguiti. E la delusione si è trasformata in decisa soddisfazione. E poco importa se non è punk in senso stretto, d’altra parte se il lavoro è valido, che differenza fa?

Da tutto quello che è appena emerso appare chiaro che Warning non sia il classico album alla Green Day, tutto energia e melodie semplici e orecchiabili, ma un disco che richiede un certo periodo di metabolizzazione, almeno così è avvenuto per me. Ma superato questo periodo, si scopre che anche questa volta il gruppo ha fatto centro, per cui mi sento di consigliarlo non solo agli amanti della band, ma anche a chi necessita di un buon disco rock da ascoltare in macchina, soprattutto d’estate.



Alakazam
00martedì 23 dicembre 2003 14:06
grandi recensioni! [SM=g27811] mi è piaciuto anche questo album con le sue sonorità diverse dal solito
Sabagod
00martedì 23 dicembre 2003 14:49
dimenticavo...la recensione è presa dal sito www.greendayit.com
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